25 Giugno 2025 – Il direttore generale della Fondazione Migrantes, mons. Pierpaolo Felicolo, ha partecipato oggi nella Basilica Minore di S. Sofia – chiesa nazionale degli ucraini a Roma – a una celebrazione solenne, presieduta dal card. Mykola Bychok, con i tanti sacerdoti greco-cattolici ucraini accorsi nella Capitale per il Giubileo dei Sacerdoti. Il cardinale Bychok, vescovo dell’Eparchia dei Santi Pietro e Paolo di Melbourne per i cattolici ucraini in Australia, ha presso possesso della Basilica di Santa Sofia solo pochi giorni fa.
Alla fine della celebrazione, è stato chiesto a mons. Felicolo di intervenire, sul tema “Servire i migranti e i rifugiati come stile di vita e comunione con Cristo”, anche in considerazione del sostegno costante della Chiesa italiana, attraverso la Fondazione Migrantes, alla Chiesa ucraina “in diaspora” in Italia. Una Chiesa fatta di volti e non numeri, di “storie sacre” delle “tante sorelle e tanti fratelli che cercano riparo dalla guerra”: “Non possiamo dimenticare, ha sottolineato mons. Felicolo, — anzi, dobbiamo affermarlo con forza — che questa comunità è già parte di noi. Non si tratta solo di accogliere rifugiati. Si tratta di riconoscere cittadini, vicini, amici, fratelli e sorelle nella fede”.
Mons. Felicolo ha voluto sottolineare anche la sua personale “la mia vicinanza affettuosa al popolo ucraino. Una vicinanza che si fa preghiera accorata e incessante, perché la pace — una pace vera, giusta e duratura — possa finalmente prevalere sulla violenza delle armi. Perché la speranza non si spenga mai nei cuori di chi soffre, in patria e in qualunque Paese abbia trovato rifugio in questi tempi drammatici”.
Infine, il direttore della Fondazione Migrantes ha concluso il suo intervento consegnando ai presenti due pensieri. Innanzi tutto, ribadendo che la presenza migratoria, anche nelle sue forme più complesse e dolorose, è una benedizione: “Sì, una benedizione. Non è uno slogan, ma una verità di fede. Lo ricorda la Lettera agli Ebrei quando ci invita a non dimenticare l’ospitalità, perché ‘alcuni, praticandola, senza saperlo, hanno accolto degli angeli’ (Eb 13,2). È un’affermazione che risuona potente anche oggi”.
Il secondo pensiero ha toccato l’identità della Chiesa: “Vivere la cattolicità significa vivere la comunione nella diversità. Non si tratta solo di una caratteristica dottrinale, ma di una realtà concreta e incarnata. La cattolicità si manifesta quando siamo capaci di accogliere le differenze come dono, quando celebriamo la fede in forme plurali ma unite, quando impariamo gli uni dagli altri, riconoscendo che ogni cultura, ogni lingua, ogni esperienza ecclesiale porta un frammento di verità e di bellezza che arricchisce il tutto”.