Dietro il no e l’astensione, una percezione di insicurezza e disordine di fronte a una “invasione” che non c’è, oltre al riemergere di una certa xenofobia anche a sinistra. E i dieci milioni di sì? Un patrimonio di apertura civica

di Maurizio AMBROSINIDocente di Sociologia dei processi migratori e Sociologia urbana all’Università degli Studi di Milano

Necessari, ma marginalizzati

L’idea di diritti differenziati, di una superiorità sociale da preservare, di una cittadinanza limitata e condizionata per gli immigrati si traduce nell’idea di un’integrazione subalterna. Gli immigrati sono necessari, ma non accolti. Richiesti, ma tenuti ai margini. Il loro lavoro serve (2,4 milioni di occupati regolari, e altri ne occorrerebbero), non solo alle imprese ma anche alle famiglie: il 70% delle collaboratrici e assistenti familiari sono straniere. Ma quanto a riconoscere pari diritti, il passo è lungo, e per molti impensabile. L’integrazione subalterna fa rima con sottomissione: gli immigrati sono bene o male tollerati quando si accollano i lavori sgraditi, ma non se avanzano rivendicazioni, accedono al welfare o pretendono di avere voce nelle decisioni che riguardano anche loro.  Devono rimanere cittadini dimezzati, figli di un dio minore.

La buona notizia

In questo plumbeo post-referendum, la buona notizia è che circa dieci milioni di elettori italiani sono disposti a riconoscere un accesso più rapido alla piena cittadinanza. Questo patrimonio di apertura civica richiede di essere saldato con le forme di cittadinanza dal basso già oggi possibili: la partecipazione associativa, ancora gracile in Italia, quella sindacale, già più robusta (oltre un milione d’iscritti alle diverse sigle, e un certo numero di operatori e dirigenti, locali e nazionali), quella che si esprime nel volontariato e nelle iniziative locali di solidarietà e cura del territorio, quella religiosa ed ecclesiale, per gli immigrati cattolici. L’esito referendario ha allontanato la speranza di norme sulla cittadinanza più inclusive, ma non può cancellare l’esigenza di dare più voce e spazio agli immigrati che fanno già parte della società italiana e che contribuiranno a scriverne il futuro.